Ciò che a lungo è stato rappresentato come puro sintomo di positività all’infezione da Sars-CoV-2, ossia l’alterazione temporanea del senso dell’olfatto e del gusto, è nel tempo stato approfondito essere parte di quella sfera di complicanze neurologiche associate al Covid al punto che a un anno dall’esordio della pandemia esiste una una categoria di studi totalmente dedicata al “NeuroCovid”, ossia all’impatto sul sistema nervoso che il nuovo coronavirus agisce durante e dopo l’insorgenza della malattia.
NEUROCOVID, DI COSA SI TRATTA
Se all’inizio gli studiosi si sono concentrati sulle correlazioni tra positività al Covid in pazienti con patologie croniche o anziani e lo sviluppo di complicazioni neurologiche, oggi in numerose pubblicazioni scientifiche internazionali si è giunti ad affermare che oltre un paziente Covid su tre presenta sintomi patologici del sistema nervoso centrale, manifestando disturbi che vanno dalle cefalee alle manifestazioni epilettiche fino all’ictus, e del sistema nervoso periferico come, appunto, la perdita o distorsione a breve o lungo termine di gusto e olfatto.
Gli effetti sul cervello non sono affatto trascurabili: secondo un’analisi pubblicata a maggio 2021 dal Global Consortium Study of Neurologic Dysfunction in COVID-19, infatti, i pazienti con sintomi neurologici diagnosticati clinicamente come associati al Covid, hanno una probabilità 6 volte più alta di morire durante un ricovero ospedaliero rispetto a chi non ha manifestato sintomi al sistema nervoso.
In una popolazione mondiale che conta ormai oltre 165 milioni di persone che hanno contratto questo virus nelle sue varianti (dati OMS) è necessario prendere coscienza della conseguenze che possono perdurare nel tempo, anche quando si è stati colpiti in forma lieve.
La Società italiana di neurologia ha pubblicato già nel 2020 su Neurological Sciences uno studio che considera che problemi come l’astenia protratta, i disturbi di concentrazione, i disturbi della memoria e comportamentali possano essere collegati a piccoli danni vascolari o infiammatori del sistema nervoso, con ripercussioni a lungo termine.
“Abbiamo assistito nel corso dell’ultimo anno a continue conferme della correlazione tra Covid 19 e malattie neurologiche – sottolinea Gioacchino Tedeschi, Presidente della Società Italiana di Neurologia e Direttore in Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia, AOU Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli -. Proprio per questa ragione stiamo portando avanti progetti di ricerca e studi clinici per indagare in maniera approfondita su questo legame, con l’obiettivo di chiarire la portata e la durata degli effetti neurologici e mettere a punto protocolli clinici che aiutino gli specialisti a intervenire tempestivamente per contrastarne i danni”.
COME IL COVID AGISCE SUL SISTEMA NERVOSO
Abbiamo imparato a conoscere un po’ tutti la proteina “Spike” e la sua responsabilità come recettore di attacco cellulare soprattutto sull’apparato respiratorio ma meno conosciuta è la sua attività sulle cellule neurali: “Il COVID-19 colpisce il cervello in vari modi tra i quali l’infezione diretta delle cellule neurali con SARS-CoV-2, e la grave infiammazione sistemica che inonda il cervello di agenti pro-infiammatori danneggiando così le cellule nervose” ha dichiarato Paolo Calabresi, Ordinario di Neurologia e direttore della Neurologia del Policlinico Gemelli di Roma, ospedale impegnato nella rete di ricerca internazionale sullo studio del NeuroCovid.
L’intento, dunque, è di individuare l’intera coorte di manifestazioni neurologiche di COVID-19 in quanto costituiscono una delle principali sfide per la salute pubblica non soltanto per gli effetti acuti che potrebbero avere sul cervello, ma anche per i danni a lungo termine che potrebbe derivarne. I disturbi maggiormente osservati sono:
- Cefalee ed encefaliti
- Senso di disorientamento e stato confusionale
- Disturbi della memoria e del comportamento
- Crisi epilettiche
- Anosmia e ageusia (perdita dell’olfatto e del gusto)
- Ipossia (carenza di ossigeno nel sangue)
- Disturbi motori
Queste manifestazioni pur ritardate – si legge in tutti gli studi osservazionali – potrebbero essere presenti anche in pazienti che non hanno mostrato sintomi neurologici nella fase acuta. Cosa consigliare, dunque, a chi ha avuto un’infezione da COVID-19? “Per prima cosa, si deve tener presente che in molti casi il contagio non provoca malattia o sintomi (casi asintomatici) – spiega Gioacchino Tedeschi -. In secondo luogo, la comparsa di un evento o disturbo neurologico non
necessariamente comporta che la manifestazione neurologica sia correlata con l’eventuale contagio. Nei pazienti che si sono ammalati di COVID19, il consiglio è quello di riportare tempestivamente al proprio medico di famiglia eventuali disturbi, sia che siano insorti durante l’infezione che a distanza di tempo. Nel caso di disturbi persistenti, è fondamentale invece una valutazione specialistica neurologica”.
COVID E COINVOLGIMENTO DEL NERVO VAGO
Uno studio pubblicato su Journal of Neurology ha mostrato anche il ruolo del nervo vago nella sintomatologia legata al dolore. La presenza del virus in questa sede, infatti “utilizza la nuova strada di diffusione lungo le fibre nervose, per scatenare il dolore” ha dichiarato Tommaso Bocci, ricercatore dello studio nato dalla collaborazione di neurologi, rianimatori e patologi del Centro di ricerca ‘Aldo Ravelli’ UniMI.
Ma di che dolore stiamo parlando? “Ci sono 3 vie che il virus può usare per provocare il dolore: quella diretta, quella mediata dall’infiammazione e come conseguenza del protrarsi della malattia – ha spiegato Emanuele Piraccini, Terapia del Dolore, Ospedale Bellaria AUSL Bologna durante il Congresso di FederDolore-SICD (Società Italiana Clinici del Dolore) –. Quando continua lo stimolo infiammatorio ci sono alterazioni a livello nervoso con una cronicizzazione che colpisce circa il 30% dei pazienti. Si è visto anche che pazienti già affetti da dolore cronico, hanno avuto una notevole riacutizzazione se colpiti da Covid. Inoltre il dolore in corso di infezione da Covid-19, ha un effetto negativo su tutto il decorso della malattia: basti pensare che un paziente che ha dolore toracico e non riesce a tossire, può accumulare secrezioni a livello polmonare e aver può facilmente infezioni o polmoniti”.
COME INTERVENIRE SUL DOLORE?
“Purtroppo la risposta alla terapia farmacologica si è rivelata bassa e preoccupa anche nuove sindromi dolorose a livello del volto, quali nevralgie trigeminali, occipitali che coinvolgono il volto e la nuca. Sono più rare, ma la dimensione di questa nuova forma sta aumentando. Ci dovremo attrezzare a dover gestire una nuova emergenza post-pandemica che ci vedrà impegnati sia con i pazienti che hanno dovuto fare i conti con un difficile accesso alle cure – conclude in una nota stampa Giuliano De Carolis, Presidente FederDolore-SICD – sia con quanti hanno sviluppato dolore cronico come conseguenza dell’infezione. Sono quelli che hanno manifestato un dolore cronico anche a distanza di mesi dalla risoluzione dell’infezione che corrispondono circa al 4%dei pazienti Covid più gravi, cioè quelli ricoverati o addirittura intubati”.