In un futuro non troppo lontano potremo aspettarci che il nostro medico specialista ci prescriva una cura di questo tipo: “Scarichi questa applicazione, si colleghi tramite dispositivo personale e faccia 25 minuti di attività al giorno, cinque giorni su sette, per quattro settimane. Al termine ci riaggiorniamo per valutare come è andata la terapia”.
Curarsi attraverso l’uso di software è infatti alla base delle terapie digitali, una sottocategoria della medicina digitale, settore in forte espansione favorito nell’ultimo anno e mezzo (anche) come risposta per fronteggiare la pandemia da covid-19.
In Italia le terapie digitali non sono ancora state opportunamente normate ma negli Stati Uniti e in altri Paesi dell’Unione Europea queste modalità di intervento terapeutico sono regolarmente somministrate, riconosciute e rimborsate dai sistemi sanitari nazionali o dalle assicurazioni. Ma cosa sono le terapie digitali? Come funzionano e quali disturbi trattano
principalmente? Perché in Italia non abbiamo ancora accesso a queste forme di intervento curativo? A rispondere è Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di Informatica medica dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs e coautore del documento “Terapie digitali: un’opportunità per l’Italia” edito da Tendenze Nuove e recentemente tradotto in lingua inglese.
Che cosa sono le terapie digitali
“Le terapie digitali comprendono software o componenti hardware che svolgono una funzione terapeutica basata sulla modifica degli stili di vita e codifica di terapie cognitivo comportamentali – spiega Santoro -: intervengono per gestire, trattare e prevenire alcune patologie che sono basate su errati stili di vita, per la gestione delle patologie croniche e possono avere particolare effetto anche nelle dipendenze.
Le Dtx o Digital therapeutics, come sono definite a livello internazionale, sono terapie basate sull’evidenza scientifica ottenuta attraverso la stessa sperimentazione clinica randomizzata metodologicamente rigorosa e confermatoria che conosciamo relativamente alla ricerca sui farmaci tradizionali”.
Bisogna fare una distinzione doverosa come premessa per comprendere cosa sia una terapia digitale e cosa no. “Nel grande contenitore che è la salute digitale, la Digital Health, sono inclusi ambiti molto diversi che vanno dalla telemedicina alle applicazioni per il benessere e la qualità della vita, come il contapassi, ad altri strumenti che si basano sulla raccolta e archiviazione di dati utili o parametri vitali in un contesto di assistenza e qui rientriamo nell’ambito della Medicina digitale. In questo secondo caso stiamo parlando di presidi medico sanitario, e quindi soggetti a ricerca clinica. Le terapie digitali sono una specifica categoria delle tecnologie digitali per la salute e devono essere prescritte per poter essere utilizzate.
Secondo una stima elaborata da Allied market research e ripresa da Digital Health Italia, il volume d’affari delle Dtx potrebbe raggiungere nel 2025 circa otto miliardi di dollari (nel 2017 era di 1, 75 miliardi).
Ambiti di cura delle terapie digitali
“Sbagliato sarebbe chiamarli farmaci digitali perché questi ultimi agiscono per il tramite della molecola, ossia la composizione chimica del prodotto – aggiunge l’esperto dell’Istituto Mario Negri – mentre queste terapie non sono farmacologiche e si basano sull’effetto dell’algoritmo a livello clinico.
Queste possono essere:
- terapie di carattere cognitivo-comportamentaliee quindi dirette a gestire l’ansia, la depressione, l’iperattività e nelle dipendenze come ad esempio nella lotta contro il fumo;
- anche in malattie dell’ambito metabolico come diabete, ipertensione e obesità è stata comprovata l’efficacia di determinati protocolli.
Come per i farmaci tradizionali esiste un “bugiardino” e una posologia per cui è stata comprovata l’efficacia dell’intervento terapeutico. Faccio l’esempio di una applicazione studiata per lavorare sull’iperattività: Endeavor è un vero e proprio videogioco per cui lo schema terapeutico approvato dalla Food and Drug administration e prescritto al paziente prevede un trattamento 25 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana per 4 settimane. Questa posologia è stata bilanciata anche per
contenere eventuali effetti collaterali, che come per altre forme terapeutiche dobbiamo considerare anche nelle terapie digitali. Quali possono essere le controindicazioni di una Dtx? Dall’emicrania alla dipendenza, ma nell’ambito di sperimentazione clinica sono stati analizzati gli effetti collaterali meno importanti rispetto ai vantaggi che questi strumenti portano”.
Terapie digitali, a che punto siamo in Italia?
In Italia siamo pronti e abbiamo importanti competenze nella ricerca farmacologica. Sino a ora sono mancati i finanziamenti per la ricerca – commenta Eugenio Santoro -. Potremmo dire che c’è un blocco non ben compreso da chi propone e potrebbe produrre questi strumenti: sta a questo settore incentivare anche la ricerca clinica delle Dtx affinché si possa misurare l’efficacia di una determinata terapia.
In Italia, inoltre, manca di capire a chi dovrebbe spettare la regolamentazione di questo settore perché è necessario che ci siano degli enti regolatori che diano le regole per studiare, sviluppare ed eventualmente approvare, prescrivere e far rimborsare queste terapie. In Italia non è chiaro capire se questi temi siano appannaggio del Ministero della Sanità, di chi si occupa in particolare della regolamentazione dei dispositivi medici o se è responsabilità dell’Aifa. Questo vuoto frena, di conseguenza, lo sviluppo e la produzione e la messa sul mercato”.
Le terapie digitali sono adatte a tutti?
“Se ci si pone una questione di digital divide no, tutt’altro – conclude il ricercatore -. Per determinate patologie, ad esempio, questi strumenti andrebbero a migliorare l’aderenza terapeutica. Soprattutto in contesti dove alcuni servizi sono disponibili solo in presenza e il territorio non ha una rete capillare di presidi. Anche nella fascia di popolazione anziana, inoltre, è stato studiato come lo strumento digitale sia stato per alcune terapie più utile. Le terapie digitali potrebbero rappresentare per il nostro Paese una opportunità a favore dell’efficienza e della sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale”.